venerdì 28 agosto 2020

Cocomero o anguria?

COCOMERO O ANGURIA?

Ecco un classico esempio di quanto sia variegato (e meraviglioso!) il panorama lessicale italiano, influenzato da molteplici, e a volte bizzarre, varianti regionali e dialettali.


Una delle due parole vi sarà senz’altro più familiare, dipende dalla zona geografica in cui vi trovate. Infatti al Nord si dice anguria, in Toscana e al Centro si dice cocomero, infine, al Sud si dice melone d’acqua.

Quindi, per rispondere alla domanda del titolo, sono corrette entrambe le forme, con un’unica differenza, quella geografica.

 

    Curiosità storica

Anguria è una parola di origine greca, infatti deriva da angoùria, ossia cetriolo, termine approdato a Ravenna con la dominazione bizantina intorno al VI secolo d.C., e diffusosi poi a tutta l’Italia settentrionale.

Cocomero deriva dalla parola latina cucumere(m), cetriolo, e con lo stesso significato, lo si ritrova nel francese concombre e nell’inglese cucumber.

È curioso come anche l'inglese watermelon e il tedesco Wassermelone, che significano cocomero, siano entrambi formati da due parole, acqua e melone, ossia melone d'acqua, proprio come in Sicilia!


Anguria e cocomero sono geosinomini, ossia parole diverse che esprimono lo stesso significato, cioè si riferiscono allo stesso oggetto o allo stesso concetto, ma sono diffusi in zone d’Italia diverse e ben distinte. Ogni geosinonimo copre una precisa area geografica, dove viene comunemente usato nella lingua parlata di ciascuno di noi.

 

Gli esempi di geosinonimi sono numerosissimi…

Il più classico è senza dubbio l’espressione che gli studenti di tutta Italia utilizzano per indicare l’azione di marinare la scuola: inizio con la mia Ferrara, dove si dice fare fuoco, a Milano si dice bigiare, bucare a Torino, ma ancora, fare forca a Firenze, fare sega a Roma, fare filone a Palermo, far vela in Sardegna.

Un altro geosinonimo è riferito alla parola lavandino, così chiamato da tutti i settentrionali, mentre per i meridionali è lavapiatti. I Toscani fanno la distinzione tra acquaio per indicare il lavello della cucina e lavandino solo per quello del bagno.

Ancora, potremmo parlare di ciò che usano gli italiani per appendere gli abiti dentro gli armadi: al settentrione si chiamano ometti oppure appendiabiti, in Toscana si usano le grucce, mentre al Centro-Sud le stampelle o le croci.

Mi viene in mente un altro esempio che ricorre in tempo di Carnevale, quando gli italiani mangiano il tipico dolce friabile e ricoperto di zucchero a velo, che a Ferrara chiamiamo crostoli, a Bologna chiamano sfrappole, ma che nelle varie regioni d’Italia assume il nome di cenci, chiacchiere, bugie, frappe, frappole, frittole, ecc..

 

Nel  panorama regionale i geosinonimi sono davvero un’infinità.

Sono sicura che anche a voi ne verranno in mente tantissimi altri. 

A quale avete pensato? Fatemelo sapere che ci divertiamo un po’!

 

    Curiosità

Ci sono anche alcuni geosinonimi che, nel tempo, tendono a cadere in disuso, cedendo il passo alla forma standard più accreditata. È il caso, per esempio, della parola idraulico, ora diffusa in tutta l’Italia in maniera uniforme, ma che fino a poco tempo fa in Toscana era il trombaio o lattoniere, nel Lazio lo stagnaro, al Sud il fontaniere.

Anche cacio e formaggio sono geosinonimi: il primo è diffuso in Toscana, in Sardegna e nell’Italia centro-meridionale; il secondo, invece, è tipico della parlata settentrionale, dove la produzione casearia di tipo industriale si è affermata prima che in altre parti d’Italia. Forse è proprio questo il motivo per cui la voce settentrionale formaggio si è imposta sulla parola cacio.

La stessa sorte è toccata alla parola tapparella, altra voce tipicamente settentrionale, che ha prevalso su avvolgibile o serranda, più in uso al Sud; i motivi sono anche in questo caso di tipo socio-economici, in quanto la maggior parte delle fabbriche di serramenti sono nate al Nord.

 

Fonti: Pubblicazioni di Elisabetta Perini - Pubblicazioni di Laila Cresta - Vocabolari della lingua italiana - Wikipedia - grammaticaitaliana.eu - Articoli vari.


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martedì 4 agosto 2020

È piovuto o ha piovuto?


È PIOVUTO O HA PIOVUTO?

Il post della scorsa settimana (Il sole oggi splende, ma ieri?) ha avuto un gran successo.

Alcuni mi hanno risposto: ieri brutto oppure ieri nuvoloso, ieri pioggia. Bé, me l'aspettavo!

Mi avete provocato? E io rilancio! 

Quindi, ieri ha piovuto o è piovuto?


Vi tolgo subito il dubbio, dicendo che in questo caso non potete commettere alcun errore, perché sono corrette entrambe le forme.

Nella grammatica italiana, i verbi che indicano fenomeni meteorologici ammettono sia l’ausiliare essere che l’ausiliare avere, sia nella lingua scritta che in quella parlata.
Ha tuonato tanto e, alla fine, è piovuto. (Luca Serianni)


Quali sono i verbi che indicano fenomeni meteorologici?
Piovere, spiovere, grandinare, nevicare, gelare, lampeggiare, tuonare, sgelare, albeggiare, imbrunire, annottare, ecc.

Attenzione però, perché c’è un’eccezione! (E ti pareva!)

Quando il verbo non è usato per indicare fenomeni meteorologici, quindi non è indicato con valore impersonale, ma è usato con significati figurati o traslati, i tempi composti ammettono soltanto l’ausiliare essere.
Es: Sono piovute critiche a non finire.
La fortuna gli è piovuta addosso all’improvviso.
Simone è piovuto in teatro nel bel mezzo delle prove.


Curiosità

Anche in questo caso la regola grammaticale ha subito nel tempo una modifica.
Nella sua forma originale, prevedeva per i verbi impersonali l’uso esclusivo dell’ausiliare essere (mi è sembrato, mi è successo, è stato necessario).

Sono verbi impersonali quelli che esprimono un’azione non riferibile ad una persona o una cosa specifica.

I verbi meteorologici sono, appunto, verbi impersonali, quindi, in base alla regola generale, dovrebbero ammettere solo il verbo essere. Invece, l’ausiliare avere è entrato nell’uso comune sia del linguaggio parlato che di quello scritto, tanto da considerarsi corretto al pari della forma con il verbo essere.





Fonti: Pubblicazioni di Elisabetta Perini - Pubblicazioni di Laila Cresta - Vocabolari della lingua italiana - Wikipedia - grammaticaitaliana.eu - Articoli vari.


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sabato 1 agosto 2020

Emanuela Esposito Amato

EMANUELA ESPOSITO AMATO

Cari amici, iniziamo il mese di Agosto alla grande!
Come promesso, oggi vi parlo di Emanuela, collega della famiglia Alcheringa Edizioni.
Vi posso garantire che questa è un'autrice da seguire.


Conosciamola insieme...

Emanuela Esposito Amato è nata a Napoli, dove vive.
Laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne, è attualmente docente di Francese all'Istituto Superiore Pagano-Bernini.

Per lunghi periodi, durante e dopo gli studi universitari, ha vissuto e lavorato a Parigi. Ha condotto ricerche sul periodo letterario medievale in lingua romanza presso l’Université de la Sorbonne-Paris e la Bibliothèque Nationale de France.

Ha frequentato corsi di scrittura creativa tra cui uno con la Scuola Omero (Roma), e due con la Scuola Holden (Torino).

Nell’ Agosto/settembre 2002 la rivista per scrittori esordienti "Inchiostro" (Anno 8, Numero 3/4) ha pubblicato il suo racconto Rapsodia.
Nel Settembre 2002 la rivista di cultura e formazione editoriale "Il Segnalibro" (Anno 3, Numero 10) ha pubblicato il suo racconto Il recidivo.
Nell’ Aprile 2014 con il racconto Lui dorme è risultata vincitrice del primo premio del concorso letterario "Da donna io racconto" indetto dal Centro comunale di cultura e dal Centro italiano femminile della città di Valenza (Al).


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La scrittrice napoletana esordisce nel 2018 con il romanzo
 Il Diario segreto di Madame B. 
di cui vi ho parlato in un recente post. 

Napoli 2013, Francia 1840, due storie parallele destinate ad incontrarsi e ad emozionare.

Il romanzo è stato favorevolmente accolto da pubblico e critica.

Nel 2019, Terzo classificato al Premio Costadamalfilibri 
sezione Narrativa/Saggistica, nell’ambito della XIII edizione di incostieraamalfitana.it.

Nel luglio 2020, fresco di ritiro, vince Il Premio “MarediCosta” di Praiano.


 
Nel gennaio 2020 l’autrice ha pubblicato un nuovo lavoro letterario, questa volta una raccolta di racconti: 


Editore: Homo Scrivens Collana: Direzioni immaginarie Anno edizione: 2020

Vite difficili, di donne che camminano sul filo del rasoio della loro esistenza, che colmano i vuoti con ossessioni tremendamente deleterie al loro spirito. Un'alternanza di odio e amore per se stesse, una frenetica lotta per la sopravvivenza e la paura di perdersi nell'oblio accompagnano le pagine di questa raccolta di racconti.



Emanuela, raccontaci come hai iniziato a scrivere.

I primi incontri con la narrazione risalgono a quando io non frequentavo ancora la scuola! Mia mamma e mia nonna, ogni pomeriggio, mi insegnavano una lettera dell’alfabeto e me la facevano colorare e poi ripetere. Io adoravo quei pomeriggi e non vedevo l’ora di conoscere altre lettere, anche le più ostiche da pronunciare! 
Poi il miracolo è accaduto quando ho cominciato a mettere insieme le lettere e a scrivere prima singole, semplici parole, poi frasi con un minimo di senso.
Ricordo ancora, ed è passato un bel po’ di tempo, che, affascinata da quel mondo così vario e ricco di combinazioni, pensai che un giorno avrei scritto una storia…
E la cosa si è avverata. 
Dal mio amore per le lettere dell’alfabeto sono passata all’amore per la lettura. 


Quindi, secondo te per diventare scrittori bisogna essere prima di tutto buoni lettori?

Sostengo che non si può essere buoni scrittori se non si ha un solido bagaglio costruito con le opere sia di autori classici che moderni. 
Io spazio tra vari generi, ma sicuramente il genere intimista è quello che più è vicino alle mie corde.


Come è nato il tuo ultimo libro, Lui dorme e altri racconti?

Ho cominciato a scrivere racconti. 
In apparenza mi sembravano slegati l’uno dall’altro perché, sebbene le tematiche fossero ricorrenti, ognuno di loro aveva un suo quid
Rileggendoli dopo molto tempo, e nel frattempo alcuni avevano anche ottenuto dei premi letterari, mi sono resa conto che avevano una tematica comune, quella femminile intimistica, e che malgrado le loro differenze sembravano essere percorsi da un sottile filo che li teneva insieme.
Ecco come è nato “Lui dorme e altri racconti” edito da Homoscrivens nel gennaio 2020.


Invece, il romanzo Il diario segreto di Madame B.?

La sfida non è stata per niente semplice. 
Sono molto pignola e precisa quando scrivo e per il romanzo “Il diario segreto di Madame B.”, edito nel settembre 2018 da Alcheringa Edizioni, ho impiegato circa un anno per la documentazione, recandomi anche sui posti descritti per due volte, e poi due anni per la stesura e l’editing.
Anche in questo caso i personaggi mi sono venuti incontro da soli e quasi mi hanno guidato nelle molteplici stesure del romanzo. Talvolta dovevo tenerli a bada perché parlavano e agivano troppo velocemente e io non riuscivo a stargli dietro!


Che tipo di scrittrice sei?

Purtroppo sono una scrittrice raramente soddisfatta in toto di quello che scrive e di come lo scrive. Tento sempre di trovare nuove metafore, nuove similitudini. Cerco di rifuggire dalla facilità di espressione, di evitare i luoghi comuni, ma…. scrivere non è impresa semplice. È sudore, fatica, posture rigide per ore. Ma il fatto è che… non ne posso fare a meno. È il mio mondo virtuale, il mio vivere con i personaggi e con le loro storie. È un’avventura sempre diversa, impervia, ma irrinunciabile!


Qual è la fonte di ispirazione delle tue storie?

Per quanto riguarda questa raccolta di racconti, le prime immagini sono venute quasi sempre all’improvviso e sono diventate in molti casi l’incipit stesso del testo.
In altre situazioni ho trovato ispirazione osservando i comportamenti delle persone, nelle circostanze più disparate, o ascoltando i discorsi della gente nei mezzi di trasposto pubblico, nei supermercati, in fila per arrivare alle casse, al caffè, mentre sorseggiavo una bevanda e i vicini di tavolo parlavano a voce un po’ troppo alta…
 Si dice che gli scrittori siano dei vampiri delle vite altrui. Forse l’asserzione non è poi così lontana dalla realtà. Ma sono anche capaci di “auto-vampirizzarsi” (consentitemi il personalissimo neologismo) e trarre dalle proprie esperienze di vita, sublimate nella scrittura, quella “prima immagine” che consentirà alla pagina bianca di essere ricamata da vocali, consonanti, punti, virgole, virgolette….
Finché dalla prima, sfocata immagine, non si vedrà il quadro terminato, la tela riempita con ogni pennellata al suo posto.



  Potete trovarla qui:

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