martedì 9 giugno 2020

Non perdiamoci di vista di Federica Bosco


NON PERDIAMOCI DI VISTA
Federica Bosco

Una storia intensa e struggente sui migliori anni della nostra vita.


Editore: Garzanti (ottobre 2019)
Collana: Narratori moderni
Genere: Narrativa Contemporanea
N° pagine: 292


È l'ennesimo 31 dicembre, e Benedetta lo trascorre con gli amici della storica compagnia di via Gonzaga, gli stessi amici che, negli anni Ottanta, passavano i pomeriggi seduti sui motorini a fumare e a scambiarsi pettegolezzi, e che ora sono dei quarantenni alle prese con divorzi, figli ingestibili, botulino e sindrome di Peter Pan. Ma quello che, a distanza di trent'anni, accomuna ancora quei «ragazzi» è l'aspettativa di un sabato sera diverso dal solito in cui, forse, succederà qualcosa di speciale: un bacio, un incontro, una svolta. Un senso di attesa che non li ha mai abbandonati e che adesso si traduce in un messaggio sul telefonino che tarda ad arrivare. Un messaggio che potrebbe riannodare il filo di un amore che non si è mai spezzato nonostante il tempo e la distanza, che forse era quello giusto e che torna a far battere il cuore nell'era dei social, quando spunte blu, playlist e selfie hanno preso il posto di lettere struggenti, musicassette e foto sbiadite dalle lacrime. Una nostalgia del passato difficile da lasciare andare perché significherebbe rassegnarsi a un mondo complicato, competitivo e senza punti di riferimento, che niente ha a che vedere con quello scandito dai tramonti e dal suono della chitarra intorno a un falò. Fino al giorno in cui qualcosa cambia davvero. Il sabato diverso dagli altri arriva. L'inatteso accade. La vita sorprende. E allora bisogna trovare il coraggio di abbandonare la scialuppa e avventurarsi a nuoto nel mare della maturità, quella vera.


La mia opinione

Lo stile dalla Bosco mi piace tantissimo, essenziale e ironico, davvero una piacevole lettura.
Una storia nella quale i quarantenni (o giù di lì), proprio come me, non possono non identificarsi. 


'E, a guardarci bene, a parte il fatto che ci eravamo riprodotti ed eravamo invecchiati, eravamo in tutto e per tutto gli stessi che passavano i pomeriggi seduti sul motorino a fumare trent'anni prima, gli stessi ragazzi della compagnia di via Gonzaga che si erano conosciuti a sedici anni, e che adesso ne avevano quarantasei.'


Perché siamo la generazione di mezzo, forse più felice di quella dei nostri padri, ma senza dubbio più felice di quella dei nostri figli.
La generazione che non riesce a staccare il cordone ombelicale con un passato fatto di spensieratezza all’aria aperta; che è diventata grande senza telefonino e a suon di ceffoni, pacche nei denti e porte chiuse in faccia; che ancora oggi trascorre le giornate permeate da una malinconia per ciò che è stato e non sarà più, per ciò che avrebbe dovuto essere in continuo contrasto con ciò che è realmente, tra ciò che eravamo - e che ci illudiamo ancora di essere - e ciò che, invece, siamo diventati.



'Ma in fin dei conti non eravamo cambiati; continuavamo ad aspettarci qualcosa dalla vita, qualcosa di spettacolare e unico che prima o poi sarebbe arrivato, esattamente come quando ci preparavamo per uscire il sabato sera immaginando una serata speciale e indimenticabile e invece tornavamo a casa morti di freddo dopo una fila interminabile fuori da qualunque locale di Mantova che avesse un tavolo abbastanza grande per tutti, stanchi, abbruttiti e con lo stomaco rivoltato da un Long Island Iced Tea di pessima qualità, sperando nel sabato successivo. E così per i dieci anni a venire...'


La storia della Bosco è ironica e malinconica al tempo stesso, fino ad un epilogo doloroso, rumoroso, che arriva con la delicatezza di un treno in corsa. Quel sabato diverso da tutti gli altri, che costringe i ‘ragazzi’, finalmente o loro malgrado, a staccare quel cordone ombelicale con un passato che non esiste più, che non tornerà mai più.



'Ci aveva esposto alla luce violenta della verità strappando il sottile velo dietro il quale ci eravamo nascosti con un colpo secco e feroce.
Ora cercavamo di coprire le nostre estese nudità con le mani, come degli Adamo ed Eva cacciati dal paradiso terrestre della nostra adolescenza che chiudeva i battenti per sempre come un vecchio parco giochi in disuso.'


Si legge velocemente e chi, come me, si aggira sui quarant’anni, potrà immedesimarsi senza alcuna fatica. Lo consiglio soprattutto a chi, ripensando a quegli anni, potrà dire: io c’ero.
Buona lettura, quaranta e cinquantenni!




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